Lontano, sopra rosse praterie di tetti, svetta il campanile della chiesa. Qui mia madre m’insegnava a pregare una mamma più grande, e la chiesa ci stringeva come in un abbraccio.
Lo sguardo scorre sulle mie radici. La mia terra è tutta ferita, piagata da un cemento che la opprime. Lo vidi avanzare, divorando la terra come un cancro.
La strada è silenziosa sotto il sole caldo. Sembra piena di vita. Adesso non ci sono bare di metallo a reclamarla, né fumo, né urla, né la terra che trema. Sembra fatta per le persone e non per il profitto.
Il cielo è azzurro come l’orizzonte del mare, brillante come la sabbia. Un aereo lo macchia; lascia la bava come una lumaca. Mi domando se sia partito per esplorare o solo per consumare.
C’è odore di fiori, ma il verde non c’è. C’è brezza di mare, dietro i palazzi vuoti.
Non riesco ad essere triste in questo luogo: ogni centimetro parla al mio cuore. Eppure non posso gioire, davanti alle ingiurie del tempo.
Davanti alle piaghe di questa terra, che qualcuno vuol chiamare progresso.